Wolfango
Lo confesso: affronto la mia prima intervista ad un gruppo con l'animo più del fan che del musicista o del giornalista. Del resto sono suonatore e non musicista, e non scrivo sui giornali, faccio l'informatico per vivere. Però i Wolfango sono una pietra miliare del rock alternativo in Italia, quello che adesso viene chiamato indie forse perché va di nuovo di moda parlare in inglese. Forse la band più strampalata del Paese dopo gli Skiantos, minimale (chitarra kazoo ed armonica più grancassa e due voci totale due persone) di sicuro una di quelle che ti mette in pace col mondo quando li vedi e li senti suonare. Forse perché la loro visione del mondo è quella di due artisti diplomati all'Accademia di Brera che vedono la realtà con “quegli” occhi, invece di manipolarla con strumenti mediatici o costruendo strutture in cemento che poi crollano. Forse perché mi piace l'immagine di una coppia sposata che va in mini-tour col figlio quasi diciottenne Thomas ed il tour manager/promoter Michele su una macchina piccolissima, piena di strumenti magliette e cd fatti a mano da loro (e tutti con copertina da materiale riciclato, diverse l'une dalle altre, come avrò modo di appurare). Così, tra furiose addentate ai panini preparati da Jonny del Checkmate, può cominciare l'intervista, presenti Marco, Sofia, il figlio Thomas ed il manager Michele.
Nell'enciclopedia del pop rock edita da Baldini & Castaldi la scheda dei Wolfango esordisce così: “Nessuno mai, in Italia e nel Mondo, ha suonato così” e giù con una valanga di elogi per i vostri due dischi “Wolfango” e “Stagnola”. Ma eravate veramente i beniamini della critica all'epoca?
Sofia (
voce e balletti): Non è proprio così. Luca Valtorta, il giornalista che fece quella recensione e scrisse sul dizionario, aveva avuto
una cassetta di un concerto del '95. Poi da cosa è nata cosa, in modo del tutto casuale: lo stesso Valtorta aveva fatto ascoltare quella cassetta a Ferretti e Zamboni dei CCCP, gli siamo piaciuti, così due anni dopo è uscito il disco.
Marco (
chitarra, grancassa kazoo ed armonica): Non è che poi tutte le recensioni del periodo fossero favorevoli, anzi, ci furono delle stroncature decise. Come ha detto Sofia, l'incontro con Ferretti e Zamboni è stato del tutto casuale e del resto non ce l'aspettavamo.
Mi pare che Ferretti e Zamboni vi abbiano scelto perché eravate simili ai CCCP, se non nello stile, al loro concetto di punk creativo, nel senso del dire “abbasso la tecnica, cerchiamo di dare emozioni alla gente che viene a sentirci suonare”.
Sofia: Esatto.
C'era ancora Videomusic ed il vostro video passava anche abbastanza spesso,
Sofia: Era diventato video pin-up.
Pensavo comunque che l'idea di fare un gruppo di tre persone (poi due) fosse qualcosa che in Italia non era stato mai provato, e che richiedeva del coraggio; mi ricordo che – come esempio - c'erano solo i Krisma che avevano un soluzione simile anche concettualmente. Voi come avete iniziato?
Marco: Io ho conosciuto Sofia quando eravamo studenti all'Accademia di Brera. Lei conosceva un batterista di un gruppo punk francese, scassonissimo, molto più vecchio di noi, io suonavo già, e non abbiamo fatto altro che unire queste due cose. Il primissimo batterista del nostro gruppo era quindi questo francese che suonava negli Anemic Cinema, gruppo punk che aveva suonato diversi anni prima di spalla proprio ai CCCP, al Leoncavallo, negli anni '80! Esiste ancora la foto di quella locandina nel libro dedicato ai CCCP che è uscito di recente.
Qui a Genova è molto diffusa l'idea che gli anni '90 sono stati, per buona parte del rock italiano, una sorta di “età dell'oro” dove poteva uscire discograficamente gente che in altri momenti storici non sarebbe stata conosciuta e che non avrebbe comunque inciso mai nulla. Voi avete fatto due dischi con il Consorzio Produttori Indipendenti, avete fatto video, avete avuto una distribuzione curata, poi ad un certo punto s'è fermato tutto. A parole vostre, come è andata?
Marco e Sofia: Ma a noi i Dischi del Mulo mancano! Vedi come alle volte è la vita che fa le cose... E' successo che l'etichetta da cui eravamo distribuiti, la Polygram, è stata assorbita dalla Universal. I Dischi del Mulo erano invischiati con quelli della Polygram ed è successo che il rapporto con la nuova etichetta s'è un po' “scombinato”, e come effetto i dischi del Mulo hanno chiuso, e noi ci siamo ritrovati appiedati. Per il resto dovresti chiedere a Ferretti e Zamboni come sono andate le cose. Con Maroccolo e gli altri fiorentini, ad esempio, non avevamo rapporti così stretti come con loro due.
Wolfango mi fa pensare immediatamente a Wolfang Amadeus Mozart, ed in più al film “Amadeus” con Tom Hulce. Ci sono state delle influenze di queste due fonti nella scelta del nome per il gruppo?
Sofia: Nononononononono (
N.d.R. sono otto no, li ho contati). Il nome è stato preso da un libro... di nomi, quando cercavamo di dare un nome a nostro figlio perché non sapevamo ancora se era maschio o femmina. Poi, visto che avevamo deciso che nostro figlio si dovesse chiamare Thomas, e che ci piaceva comunque il nome Wolfango, abbiamo deciso di dare il secondo nome al nostro progetto musicale.
Agli inizi, la vostra proposta era qualcosa che poteva andare contro certi anni '80, oppure siete entrati in saletta col proposito di inventare qualcosa di nuovo, non necessariamente contro qualcosa?
Marco: Come ti dicevo prima, ci siamo trovati all'Accademia di Brera. Abbiamo poi detto “andiamo in sala”, da lì in poi siamo un po' stati trascinati dagli eventi. Sentivamo che l'atmosfera che si creava in saletta con basso chitarra e voci era giusta.
Sofia: Noi abbiamo iniziato a suonare nel '91, il primo concerto l'abbiamo fatto nel '93, la compilation l'abbiamo fatta nel '95, e nel '97 abbiamo conosciuto Ferretti e Zamboni.
Marco: In realtà non c'era nessun progetto, nessuna strategia, niente di niente.
Sofia: Lo dimostra la lentezza.
Marco: C'eravamo noi che alla domenica andavamo a suonare in saletta. (
commento mio: “santificavate le feste”, seguono risatine di approvazione)
Leggendo una vostra intervista dicevate che nella scuderia dei Dischi del Mulo eravate un specie di grande famiglia; quella scena che in Italia si definisce come “indie” è una cosa diversa.
Sofia: Noi la nuova scena indipendente la sentiamo molto dispersiva, soprattutto perché non la conosciamo.
Non ascoltate molto di nuovo, quindi?
Sofia: Conoscevamo quella degli anni novanta, questa No.
Marco: Non la conoscevamo prima, e non la conosciamo neanche dopo. Conoscevamo la scena del Consorzio. Comunque, se posso essere stronzo, nel mondo esiste un sacco di buona musica, chi vuole ascoltare della musica che gli piace se la ascolti, ma che non mendichi l'ascolto. Non c'è bisogno di mendicare l'ascolto: tu suoni, piaci a qualcuno o a tanti, ma non c'è bisogno di alzare la voce per farlo, perché altrimenti finisci per ghettizzarti.
Questo mi fa pensare alla situazione di Genova, dove ci sono tante bands che suonano, ed il pubblico ai loro concerti alle volte è fatto solo dalle bands stesse.
Sofia e Marco: Esatto! E' un classico! Anche perché adesso chi trovi che non suona? Praticamente vai ai concerti, ci si conosce tutti, ma predichi ai convertiti.
Però non è che voi andate nelle discoteche a suonare...
Sofia e Marco: No, per carità! Però, ad esempio, Lady Gaga mi piace, come esempio di musica attuale, non capisco perché molta gente ne parli male...
Voi come la vedete la questione “tecnica vs cuore”? C'è differenza tra il musicista che va a lezione per imparare a suonare meglio il suo strumento oppure è meglio il tipo che va in saletta ad improvvisare e dice “vediamo cosa succede”?
Marco: Agli inizi – ma anche oggi – non ci siamo mai posti il problema. Andavamo in saletta però la risposta potrebbe essere più complicata. Volevi dire: o si suona per far casino o si suona per fare un progetto?
Ve lo chiedevo perché sono convinto che in vari casi si suona più per orgoglio personale, per dimostrare ad un gruppo che si sa suonare bene e non perché c'è un progetto comune da portare avanti; voi invece quando avete capito che il progetto tra voi funzionava bene?
Sofia e Marco (
N.d.R quasi all'unisono): Da subito! Dalla prima volta che siamo entrati in saletta. Eravamo e siamo convintissimi di questa cosa. Non è che avessimo un progetto incredibile su cosa e come fare, semplicemente non ci aspettavamo nulla ed andavamo a suonare in saletta. Era credere nel solo fatto che ci piacesse suonare insieme. Ed è stato forse questo che ci ha permesso di continuare. Al primo concerto ci siamo accorti di aver attirato un po' di attenzione ed abbiamo insistito. Ma le cose, per noi almeno, non possono avvenire se non in modo assolutamente casuale: ed in questo ci crediamo fermamente. Abbiamo avuto anche una serie i colpi di fortuna: al primo concerto del '93 c'era un ragazzo che ci ha scelto per la compilation, e senza quella compilation non ci avrebbe visto Luca Valtorta che poi ci ha mandato ai dischi del Mulo.
A distanza di parecchi anni dall'ultima uscita discografica, nel 2009 è uscito il Demo nuovo: come ci siete arrivati?
Marco: Intanto siamo stati fermi per parecchio tempo, anche per i problemi che ti dicevo prima, ma non ce la siamo presa più di tanto. Abbiamo fatto altre cose, abbiamo lavorato, poi un giorno, mentre eravamo a spasso per la città abbiamo visto il cartellone del MiAmi. Nostro figlio, Thomas, dice: “Ma dovreste suonare anche voi al MiAmi! Perché non lo fate?” E noi abbiamo detto: “Massì, perché no!”. Ed abbiamo tirato fuori questa cosa che in realtà era in sordina dal 2001 almeno, ed anche prima dell'inizio del secondo disco. Io non ragiono molto con la testa, ma ragiono soprattutto disegnando, così avevo fatto questo progetto disegnato, che può sembrare molto stupido, io con la grancassa, la chitarra piuttosto che il basso, poi visto che c'era l'occasione di fare qualcosa al MiAmi, la cosa era lì e ci siamo detti: “tiriamo fuori questa cosa!” Così siamo andati lì, ci siamo presentati come gruppo sorpresa, abbiamo chiesto a Toffolo (
N.d.R.:3ARM), che era l'art director di questa edizione, ...
Sofia: Come avevamo il numero di Toffolo? Forse perché eravamo andati a sentirlo alla FNAC, comunque gli abbiamo telefonato, e lui ci ha dato il numero dell'organizzatore del MiAmi, che ci ha detto subito di sì, venite.
C'era della gente che comunque vi ricordava...
Marco: Sì, qualcuno c'era, ma ci siamo anche entusiasmati da soli. Siamo poi stati contattati da altri ragazzi che erano al MiAmi, che ci hanno permesso di fare un concerto alle Colonne di San Lorenzo, davanti al sagrato della chiesa...
Sofia: Si mi pare non davanti alla chiesa, ma proprio sul sagrato...
Ho visto in giro dei video di quella serata...
Marco e Sofia: Sì sono su Youtube, comunque dopo quella serata abbiamo pensato di andare avanti con i nostri piedi, abbiamo conosciuto Michele, della Rocket Panda, e siccome le cose migliori vengono sempre da dalle sinergie, non avevamo più il batterista, ci mancava quindi il terzo componente, e Michele è il terzo pezzo dei Wolfango, oppure Thomas è il terzo e Michele il quarto. I Wolfango sono questi quattro.
Cosa fate adesso, cioè quando non suonate?
Marco: Lavoriamo in un call-center quattro ore a testa, non ci basta ma non ce la facciamo di più.
Sofia: E' già alienante così, cerco di allietare le persone con la mia voce vendendo fiori per telefono, almeno perché così posso parlare di fiori.
Voi abitate a Milano, ma molta della vostra musica fa pensare piuttosto alla campagna, ai fiori... non si sente molto l'odore della città.
Sofia: Ah, ma la presenza dei fiori è del tutto casuale nella nostra immagine, ci fa piacere che tu lo abbia notato.
Marco: Devi sapere che ho vissuto quasi quattordici anni a Cortina d'Ampezzo, sulle Dolomiti, perché mio papà è di lì, anche se sono nato a Berlino, ma questa è un'altra storia...
Domanda provocatoria: io sento due grandi influenze nei vostri testi: uno è Rino Gaetano, l'altra Gianni Rodari ed i suoi libri di filastrocche.
(
seguono applausi dai quattro Wolfango)
Sofia: Ti devo piegare due cose interessanti. Rino Gaetano l'abbiamo conosciuto un po' tardi, comprando il disco quando avevamo fatto già le nostre cose, non lo conoscevamo se non per le canzoni che passava la radio. Gianni Rodari è venuto fuori qualche anno fa quando scrivevo delle filastrocche per bambini che poi ho messo da parte. I testi in realtà li scrive tutti Marco...
Marco: Scrivere è una parola grossa...
Sofia: Comunque, mi hanno fatto leggere le mie poesie per bambini e mi hanno detto “Ma tu hai letto tutti i libri di filastrocche di Gianni Rodari?” Cosa per niente vera, visto che di lui sapevo solo le cose che si sentono a scuola! Poi è vero, Marco i testi li fa poi li aggiustiamo e ci diamo una spuntatina assieme, soprattutto certi ritmi. In effetti la mia ispirazione massima è scrivere libri per bambini! Possiamo fare canzoni per bambini grandi, perché per noi c'è sempre un bambino dentro uno “grande”.
Thomas: C'è un insegnamento morale tra le righe di Rodari, una moralità leggera che passa tra una filastrocca e l'altra ...
Una questione di significato di una vostra canzone: “ti ringrazio” è una preghiera sincera?
Sofia: Si, lo è.
Marco: E' un ringraziamento.
Sofia: Può venire equivocata come una cosa blasfema, ma io non la canto in maniera blasfema; io la canto con tutto il cuore. Una volta in Sardegna in un'intervista mi hanno chiesto se era una provocazione o una presa per il culo, ma non è così!
Marco: Può venire interpretata male, in maniera cinica, ma uno ringrazia anche per le cose brutte che non ha! Dipende solo da come la leggi. Jenny Holzer diceva “Attento a quello che desideri”, perché alcune cose potrebbero realizzarsi. Sta a te ringraziare se qualcosa di buono t'è capitato.
Due domande conclusive in una: progetti futuri e... avete visto Sanremo?
Marco: Progetti futuri... beh, vedremo, non è che facciamo grandi progetti. Abbiamo alcune date da fare, ma poi tutto deve accadere... poi sì abbiamo visto Sanremo.
Sofia: E' anche la dimostrazione che stiamo invecchiando...
Marco: E' anche vero che le meccaniche del Festival prevedono ormai il vincitore deciso a tavolino, che deve venire da quel determinato show televisivo e così via... io sono sicuro che la protesta degli orchestrali di Sanremo è stata sincera, perché certamente non ha vinto la canzone musicalmente più valida, ma quella più televotata.
Sofia: Però così facendo si butta via anche quel poco di buono che c'è stato, io ad esempio mi sono emozionata tantissimo a sentire Noemi cantare. La sua voce mi piace moltissimo, e la sua versione di “Amandoti” la considero migliore di quella della Nannini, tanto che io ho pianto sentendola cantare a X-Factor!!
E con questa inopinata rivelazione concludo l'intervista...