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| | Domenica 28 Febbraio 2010 |
Nick Oliveri Avere l’opportunità di intervistare il bassista che ha fatto parte di due dei gruppi fondamentali per la mia vita musicale – Kyuss e Queens of the Stone Age [beh, fino a ’Songs for the deaf’!] - e per chi, come me, è amante delle sonorità Stoner rock, è un’occasione imperdibile ed irripetibile.
L’ansia si fa sentire già dal pomeriggio, al Taxi Driver Store, dove lo aspettiamo per un incontro pre-concerto: è lui, Nick Oliveri, in pantaloni scuri e camicia blu a quadrettoni anni ’90. Si aggira tranquillissimo tra i vinili e accetta senza problemi di suonare qualche pezzo [tra i migliori ’Gonna leave you’ e ’Autopilot’ dei Queens of the Stone Age] per i pochi che sono riusciti a non perdersi questo appuntamento pomeridiano. Si fa fotografare e firma autografi: un’ora in cui abbiamo potuto apprezzarlo forse più che nell’esibizione serale.
In serata arrivo al Teatro Carignano all’ora concordata con il manager Nicholas Irwin e finalmente posso entrare nel camerino dove Nick Oliveri e Michele Madden [ex-cantate delle Meldrum e attualmente nei Tourettes] attendono prima dell’esibizione: Nick è seduto ad un metro da me, la prima cosa che mi chiede è se io voglia una birra... L’intervista può iniziare!
Questa è la terza data, qui in Italia, del tuo tour acustico. Com’è andata finora, martedì a Milano e ieri a Fidenza?
Bene. Mi sento come a casa quando vengo a suonare in Italia, c’è sempre una risposta molto calda da parte del pubblico. Stasera sarà divertente, mi piace suonare qui!
I tuoi fans sono soliti vederti in versione elettrica e come bassista: come ti senti a suonare la chitarra acustica? E’ un grande cambiamento?
Sì e no. Devo continuare ad esibirmi, suonare e vedere come va. E’ molto soddisfacente, però non ho basi. Non ho mai studiato, nemmeno per la chitarra, anche se la suono da quando ero bambino, sono autodidatta! Sto ancora imparando e sono sicuramente meglio al basso! [Ride]
Quindi, hai iniziato a suonare il basso o la chitarra?
Ho iniziato a suonare la chitarra, poi sono passato al basso perché alcuni miei amici avevano bisogno di un bassista per la loro band, sai... giusto per suonare in un gruppo!
Trovi sia più difficile suonare l’acustica in confronto al basso?
Sì. Assolutamente! Andare su un palco da solo è sicuramente molto diverso dall’aver un gruppo alle tue spalle che ti accompagna con gli strumenti. Non c’è nulla a coprire ciò che fai, ogni errore che puoi commettere... beh, lo paghi! Tutto ciò che fai non è nascosto, significa davvero essere nudi sul palco.
Ora una semplice domanda sull’album: si intitola ’Death Acoustic’, come mai hai scelto questo nome?
Inizialmente avrei voluto intitolarlo ’Acoustic Death’, poi la parola acoustic è passata come seconda come in death metal, death punk, ad esempio. Questo titolo è adatto alla mia versione di ciò che può significare esibirsi in acustico: tendo a cantare ad alta voce, ad urlare, questo è molto distante da un approccio convenzionale, più tranquillo. Io voglio suonare così, quindi ho cercato un titolo che non venisse fuori dal nulla. Volevo qualcosa di forte che sottolineasse ciò che so fare meglio: suonare, urlare, sudare e sanguinare! [“Play hard, scream, sweat and bleed, yeah!”]
Come hai scelto le cover da inserire nell’album?
Suonare in acustico per me... Cioè, avrei potuto suonare canzoni scritte da me, sia la musica sia le parole, ma io intendo qualcosa di diverso: ho voluto canzoni che fossero divertenti da suonare, senza dare molta importanza a chi le avesse scritte. E in realtà mi sono sempre piaciute di più le canzoni degli altri rispetto alle mie...
Canzoni in cui tu potessi riconoscerti, comunque...
Sì, esatto. Non avrei mai potuto scegliere canzoni che io non sentissi dentro. Magari le persone grazie alle quali le ho ascoltate per tutta la vita volevano trasmettere qualcosa di diverso, ma ciò che io ho capito e captato era importante per me. Quindi ora sono in grado di suonarle con sincerità e assoluta convinzione. Fare la cover di una canzone e andare da solo sul palco è dura, perciò voglio suonare qualcosa di divertente, che porti gioia, tristezza, qualunque emozione basta che io possa esprimere qualcosa, se io non provo nulla, nessun altro potrà. Ho inserito anche una buona versione dei Kyuss... [’Love has passed me by’, ’Green machine’ solo dal vivo, ndr]
La prima traccia, ad esempio, è ’Start a fight’ dei Raw Power, una band punk hardcore italiana...
Sì, sono uno dei miei gruppi preferiti. Li ho visti durante il loro tour negli USA negli anni ’80, 1985/86 credo, li ascolto da tantissimo tempo!
Tra le altre tracce ce ne sono due dei The Dwarves: sei entrato nel gruppo come bassista saltuario sotto il nomignolo Rex Everything, recentemente hai suonato con loro in Australia per due date acustiche: com’è andata?
Davvero molto bene. Abbiamo appena fatto un nuovo album, dovrebbe uscire il prossimo anno...
So che saranno in Europa la prossima estate per celebrare il venticinquesimo anniversario della loro carriera, oltre all’uscita del nuovo album [’The Dwarves are born again’]: ti vedremo in tour con loro?
Sì, dovrei essere con loro. Il mio prossimo live con loro sarà a Capodanno, in Canada. Anche i Canadesi hanno l’anno nuovo... Scusa, è una pessima battuta sui Canadesi, ma noi Americani li prendiamo in giro, ma alla fine li amiamo. [Ride]
’Unless I can kill’ è una cover dei Mondo Generator dall’album ’Cocaine Rodeo’ che è stato appena ristampato. I Mondo Generator sono ancora il tuo obiettivo principale, a parte le esibizioni acustiche attuali?
Sì, sono ancora il mio obiettivo principale. Una delle ragioni per cui sto suonando in acustico è anche perché con i Mondo Generator siamo in pausa: il mio amico Ian Flannon Taylor [chitarrista dei Mondo Generator, ndr] ha appena avuto un bambino, quindi deve dedicarsi alla ’vera vita’, alla sua famiglia. E’ impegnato e io sono in tour...
Come ti senti in tour da solo rispetto all’essere con i Mondo Generator?
E’ divertente, entrambi lo sono, anche se solitamente preferisco suonare con un gruppo. Ora mi piacciono entrambi allo stesso modo.
La seconda traccia, ’Invisible like the sky’, è tua: da cosa sei stato ispirato per scriverla?
Io e il batterista dei Mondo Generator eravamo insieme a suonare ed è una canzone che abbiamo creato così, suonando, in modo naturale, ci abbiamo messo una buona batteria sotto e ne abbiamo fatto una versione elettrica. L’ispirazione per il testo è stata una relazione molto scura e pesante in cui mi trovavo, molto “velenosa”...
E quali sono i principali artisti che influenzano la tua musica e che ti ispirano?
Tantissimi. Amo Black Sabbath, Black Flag, AC/DC, grandi nomi... Anche Johnny Cash.
Artisti molto differenti tra loro...
Sì, ce ne sono tantissimi, ora non mi vengono in mente altri nomi... Ma sono tantissimi e anche molto diversi musicalmente.
Hai una lunga carriera alle tue spalle: quasi venti anni fa suonavi nei Kyuss, come ti sei sentito la prima volta che hai suonato su un palco?
Beh, ora... vecchio... scherzo! La prima vera volta che ho suonato davanti a delle persone ci chiamavamo ancora Katzenjammer [primo nome, antecedente a Sons of Kyuss, dei Kyuss, ndr]: io alla seconda chitarra, Josh [Homme] all’altra, Brant Bjork alla batteria, John Garcia alla voce e Chris Cockrell al basso. Eravamo ancora dei bambini... [Sorride] Era il 1987, ad una festa nella casa di Chris Baker a Palm Desert, California.
Eri agitato?
Sìììììììì! [Ride]
Come ti senti ora a salire sul palco? Sei a tuo agio?
Sono tutt’ora nervoso, anche stasera, perché qui è un posto molto bello, volevo venire in Italia e voglio anche tornarci! Perciò devo fare del mio meglio per suonare bene e avere l’occasione di tornare qui. Sì, mi agito ancora perché voglio suonare bene... E penso che chi diventa troppo sicuro sul palco, come chi si atteggia da ’qualsiasi cosa faccio è perfetta’, sbagli: se non ti innervosisci, vuol dire che qualcosa non va. Sono nervoso... [Ride]
Cosa sognavi per il tuo futuro da bambino? Di fare la ’rockstar’ o avevi altri desideri?
Non so se sognavo di fare la rockstar... Sognavo e sogno anche adesso, sogno di poter continuare a fare quello che faccio. Sogno ancora. Ho sempre saputo cosa volevo fare già da quando ero un bambino, volevo viaggiare, suonare, fare ciò che faccio ora nella mia vita. Sono fortunato, molto fortunato. E sogno ancora...
La mia intervista si conclude con i soliti ringraziamenti, ciò che importa è che ho avuto l’opportunità di conoscerlo anche per quello che è al di fuori del palco: una persona molto disponibile, calma, diversa da come appare sulle copertine dei giornali. Il 12 novembre 2009 è una data che io non scorderò e credo nemmeno molti di voi.
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