Antonio Clemente, Karen Ciaccia, Matteo Conta, Mauro Cipri, Zazza @ La Claque
DATA: Sabato 27 Febbraio 2010
Cos’è la canzone d’autore oggi?
Se provate a fermare un genovese a caso per strada e a chiedergli il nome di un cantautore, dieci a uno che vi risponderebbe con un nome di cui i genovesi hanno imparato ad esser fieri: Fabrizio De Andrè. Un nome famoso. Un nome con cui riempirsi la bocca. Un nome che se fino a qualche decennio fa era guardato con sospetto, ora viene affiancato a qualifiche altisonanti quali poeta e intellettuale. In tutto questo clima di amore, prati verdi e cagnolini, non posso non ricordare i racconti di mio padre, i ricordi di un periodo in cui i ragazzi che andavano ai concerti di De Andrè venivano schedati come potenzialmente pericolosi. Possibili anarchici. Delinquenti? Tempi passati, oramai. Certo, c’è chi non stravede per questo cantautore genovese e lo considera un alcolizzato ed un puttaniere, ma poco importa alla fine: quello che importa è che la figura di Fabrizio De Andrè ha soffocato talmente l’immaginario collettivo, che sembra quasi che da Genova non possa venir fuori nient’altro se non sia somigliante a lui.
Come spesso succede, invece, la realtà è ben differente.
Sabato 27 febbraio 2010, nella sala de La Claque di vico San Donato, si sono esibiti cinque cantautori genovesi. Gente giovane, diciamolo subito. Non diciottenni, sia chiaro, ma nemmeno gente alla Gino Paoli tanto per capirci. Sabato, nel centro di quei vicoli di Genova che tanto furono cari a Fabrizio De Andrè, chi avesse avuto l’occasione di sedersi sotto quello splendido palco avrebbe avuto l’onore di ascoltare la voce melodica di Antonio Clemente, con le sue personali canzoni dai ritornelli immediati e prontamente assimilabili. Antonio non era solo sul palco, ma si faceva accompagnare da un bassista, una violinista e un batterista, rendendo così ancora più più densa l’aria con le sue canzoni.
In effetti, il primo Fabrizio De andrè ci aveva abituati ad una voce accompagnata semplicemente da una chitarra, e così nella nostra testa si è formato lo stereotipo del cantautore che presenta le proprie canzoni in solitaria, col cuore affranto magari, mentre decanta tutto il suo male di vivere e la sua disperazione interna. Dispiace dirlo, ma non deve per forza essere sempre così. Il secondo a salire sul palco è quindi Gennaro Esposito, in arte Zazza, che immediatamente inizia a scherzare con il pubblico e dimostra una spigliatezza ben lontana da atteggiamenti schivi e tanto tipici dei genovesi. Anche lui è accompagnato da una schiera di strumenti a riempire la cornice, tra cui ricordo un basso, una chitarra, una batteria, una tastiera e un paio di percussioni. Sono canzoni semplici, dedicate alle piccole cose, e i suoni dalle vaghe punte swing si adagiano piacevolmente in quel susseguirsi di accompagnamenti pieni e ritmati.
E’ quindi la volta di Karen Ciaccia, unica voce femminile della serata, a sua volta seguita nella sua performance da chitarra acustica, basso, percussioni, armonica, e anche due coriste. La voce di Karen è calda e soffusa, con punte di lirismo quasi inaspettate in canzoni dedicate a periodi bui, bambini vicini, sentimenti di dolore e gioia. I cinque brani eseguiti svaniscono troppo presto, ed è giunto il turno di Mauro Cipri, unico cantautore solista, che si accompagna unicamente con una chitarra e un’armonica a bocca [che nel nostro immaginario non possiamo non associare a Bennato]. Non sono però vuote le sue canzoni, visto che Mauro si aiuta con loop e campionamenti in tempo reale che quindi riempiono ogni spazio vuoto creando un’esposizione musicale profonda e sofferta. Mauro è anche l’unico cantautore della serata a presentare un brano strumentale, "sud est", dimostrando un coraggio compositivo non indifferente.
La serata è quasi giunta al termine quando sale sul palco Matteo Conta, affiancato da un chitarrista ed un bassista. Nato il 29 febbraio [che è anche il titolo della prima canzone], l’esecuzione di Matteo è forse l’unico punto un po’ debole dell’intero concerto visto che interrompe l’ultimo suo brano per poi ricominciarlo da capo [insicurezza? voglia di perfezionismo? chissà]. Ma poco importa.
Poco importa se il festival di Sanremo ci ha oramai abituati al tenore di certe canzoni. Poco importa se su Genova grava l’ombra di un passato oramai morto che forse mai più ritornerà. I cantautori esistono ancora, e Genova ne possiede splendidi esemplari: il centinaio di persone presenti il 27 febbraio alla Claque erano lì per dimostrare che l’interesse per le novità esiste ancora, e sopravviverà con loro. E’ sufficiente saper aspettare?