Cover Band & Tribute Band: l'Infinita Saga di una Sega
«At my signal, unleash HELL!», «Al mio segnale, scatenate l’INFERNO!» e quale citazione migliore [anche se la sceneggiatura originale, poi modificata per questioni di comprensibilità, prevedeva l’aderenza storica della formula «Al mio segnale, scatenate i CANI!»] – per introdurre e proporre un dibattito che prevede scontri fratricidi e slavine di improperi?
Affetta da autolesionismo congenito, accettai di confezionare un articolo incentrato sulle Cover Band/Tribute Band, argomento che fa sembrare la disamina sulla produzione poetica contemporanea – una piacevole conversazione tra amici.
Facciamoci forza – Ispanico! Ispanico! Ispanico! – e cerchiamo di stizzire sia i sostenitori delle Cover/Tribute band sia i detrattori. Come? Concentrandosi sulla pratica e tralasciando ogni masturbazione teorica. Concettualmente, in ogni ambito, qualsiasi opinione [valida e motivata] merita rispetto, a prescindere dalle condivisioni e considerazioni personali. Tuttavia, in anni e anni e anni di stretta frequentazione, ho visto musicisti duellare come gladiatori nell’anfiteatro polemico di schieramenti antitetici in nome di un aut-aut imperioso: lunga vita alle Cover/Tribute band versus a morte tutte le Cover/Tribute band.
Al solito, miei cari, non è così semplice e l’ignaro spettatore di questi dibattiti musicali si ritrova precipitato in un dramma grottesco che, generalmente, presenta un copione con le solite battute, variate in base alla collocazione geografica:
«E basta! Un altro tributo a De André! Possibile che a Genova non si possa suonare altro?»
«Noi abbiamo tutti pezzi originali, ma i locali contattano solo i ragazzini di quelle stratocazzo di Cover band! È una vergogna, mea, belin! Son capaci solo di sfruttare i morti!»
«Queste sono cazzate da frustrati! Ti dice niente Buckley? Vuoi mettere l’Hallelujah di Jeff e l’originale di Cohen? E Marilyn Manson, allora?»
«Un pezzo ci sta, ma non puoi paragonare le Cover dei gruppi e dei cantanti affermati con la massa di parassiti che non è in grado di scrivere un pezzo originale! Lo sai che alcuni gestori VIETANO di suonare Smoke on the water nel loro locale?»
«Ignorante fotonico! Questa non è una Cover band, ma una Tribute band! Belin, la sai o no la differenza?»
«Ve lo ricordate Tim Owens? ‘Fanculo! E provate ancora a dire che con le Tribute non concludi un cazzo!»
«Puttanate! Tornò Halford a clamor di popolo!»
«Mea, non ci fecero anche un film? U belin! Come si intitolava?»
«Rock Star, ma era inguardabile!»
«Per avviare un locale, però, Tribute e Cover band sono perfette perché il pubblico preferisce ascoltare i propri miti che degli emeriti sconosciuti!»
«E allora ammazza la Musica! Bravo, bravo, continua così...»
«Senti le minchiate che dici? E Verdi? E Vivaldi? Allora le Orchestre Classiche sono delle Tribute Band più fighe?»
«Gli Apocalyptica hanno capito tutto!»
«...!»
E, a questo punto, il cervello inizia a colarmi dall’orecchio... E sì che volevo solo rilassarmi e godermi un concerto! Quasi quasi rincaso e inizio a discettar di metrica con il primo purista inferocito che trovo in Rete – ché sarebbe decisamente più rilassante.
Mentre medito la fuga, tardo quel troppo che basta per essere impaniata all’Inferno: «e tu, cosa ne pensi?». Aiuto! No, te lo gggiuro, io non penso! Dovrei smettere di fumare, ma per la mia salute – ho preferito smettere di esprimere qualsivoglia parere! In realtà sono solo un ologramma: non sono qui, non mi hai mai vista, magia magia, ora scompaio – POFF!
Va bene, ci ho provato... A noi due, Averno! La via d’uscita è esclusivamente una: spiazza il musicista con la Lettera – ed eccomi a rispondere: «è un problema di traduzione. Il mio Maestro lo spiegò perfettamente: Blake tradotto da Ungaretti non è più Blake. È forse Ungaretti puro?».
A questo punto o mi grandina addosso un insulto [sempre lo stesso, dedicatomi nuovamente proprio venerdì scorso] del tipo: «ma vaffanculo! Ma come cazzo parli? Ma ripigliati!» – o sfrutto l’espressione inebetita dell’inquisitore/interlocutore per sgusciare verso il bancone; assicurarmi una latta di birra; e sopportare il resto della serata...
Una volta provai anche a giocarmela con la Divina Commedia: «e Benigni? Perché non considerare la sua Lectura Dantis come una cover della cover di Carmelo?». Indovinate? Mi regalarono un altro, variopinto, insulto – sbavato rabbioso sul mio muso imperturbato!
E sorrido mentre mi congedo, lasciandovi il fardello di un confronto arduo; e vi saluto sperando nasca un dibattito propositivo; e canticchio quel che non vi scrivo e seguo la regola del saggio: «fai sì che la tua verità – qualunque sia – rimi sempre con qualità».