Lorenzo Pagliei http://www.liveus.it/utente.php?id=153 Lorenzo Pagliei it Mon, 12 Nov 12 23:29:26 +0100 Mon, 12 Nov 12 23:29:26 +0100 http://www.liveus.it/utente.php?id=153 Copyright: (C) LiveUs.it, http://www.liveus.it/ <![CDATA[ Nota sull'improvvisazione ]]>

Il mio modo di improvvisare è direttamente legato alla composizione. Dal mio punto di vista improvvisare è comporre a un tempo velocissimo: si compone direttamente sul suono, senza la mediazione della scrittura.
Esattamente come quando si compone, prima, durante e dopo un suono si immaginano molteplici percorsi oppure li si nega, distrugge, distorce, ripete, varia, sovrappone, etc.
Esattamente come quando si compone, il suono non viene mai lasciato da solo ma si “pensa” con, contro o anche nonostante lui.
Tuttavia, al contrario della composizione, non si può cancellare quanto già inventato e la pianificazione della forma progredisce mentre si suona, a meno che lo stimolo musicale da cui si parte, non contenga in sé un’idea formale particolare e onnicomprensiva.

Lasciandosi andare esclusivamente al suono non si va molto lontano; mentono gli improvvisatori che dicono di non pensare a nulla, o di lasciarsi andare solamente al “sentire”: quando si improvvisa si è sempre in relazione (pur anche per opposizione) con qualcos’altro. Questo “altro” può essere una cultura, una prassi, uno o più stili, delle modalità o dei comportamenti musicali; anche chi immagina di essere in contatto con un ente “superiore” o divino invoca la relazione con un’alterità che in qualche modo lo attraversa.
In sostanza non s’improvvisa mai da zero, anche solo per il fatto che le orecchie dell’improvvisatore hanno ascoltato suoni da quando sono nate. Già la conoscenza di una lingua condiziona l’improvvisatore perché essa gli ha insegnato che un certo suono può significare qualcosa, in altre parole è contestualizzabile.

S’è detto che lasciarsi andare esclusivamente al suono non porta lontano, allo stesso modo lasciarsi andare solamente alla pianificazione di strutture e forme non crea di per sé musica. Gran parte della meraviglia della musica risiede proprio negli infiniti rapporti possibili fra idea e suono, fra pensiero e materia.
Bisogna piuttosto chiedersi cosa s’intenda per “lasciarsi andare”, in un senso o nell’altro. “Lasciarsi andare” per un qualsiasi improvvisatore significa sentirsi libero di inventare e scoprire partendo dai propri riferimenti uditivi e culturali, dai suoi gusti e dalle sue preferenze. Non è un caso che ascoltando un qualsiasi improvvisatore si possa risalire alle sue preferenze musicali, alle sue radici e verificare la distanza e i rischi che egli si prende suonando: in una parola la sua originalità.
E’ vero che abili improvvisatori possono improvvisare in diversi stili o seguendo le modalità di un’altra cultura, a patto che essi ci si siano immersi e l’abbiano frequentata almeno un po’. In caso contrario, conoscendo l’abilità di quell’improvvisatore, si scoprirebbe immediatamente che egli non si trova a suo agio o che suona fuori contesto.
Far riferimento a una cultura o a determinati stili non vuol dire che l’improvvisatore sia imprigionato in essi; proprio per questo abbiamo parlato di libertà, di distanza, di invenzione e di scoperta. Infatti, si può adottare un atteggiamento più o meno aperto, più o meno rischioso rispetto alle proprie conoscenze. Chi improvvisa sa quanti rischi stia realmente prendendo e quanto si appoggi a stilemi e formule consolidate o altrui.

Nelle mie improvvisazioni al pianoforte cerco il più possibile di agire come quando compongo. Il metodo è il seguente:

1. Si pensa a uno stimolo musicale, non composto in precedenza;
2. Si crea esplorando le conseguenze dello stimolo musicale;
3. Si realizza il processo di composizione davanti al pubblico;
4. La forma del brano è il risultato della composizione davanti al pubblico;
5. Si tenta di non appoggiarsi a formule di un genere particolare (a meno che lo stimolo iniziale non comporti, sfiori o giochi con un genere) ma si cerca di creare un contesto musicale nuovo.

Lo stimolo può essere più o meno di basso livello, più o meno complesso, per esempio: un assunto formale, un’ipotesi generale, un tentativo, un modo di articolare il tempo, etc.
Una volta accettato lo stimolo iniziale, esso detta un materiale musicale particolare. Il materiale di solito è elementare quasi archetipico: un intervallo, un ribattuto, un accordo, un movimento delle mani, un gesto pianistico, una cellula di tre note, etc. Si ricorre a un materiale elementare, quasi anonimo, perché con esso si può costruire qualsiasi forma; questo atteggiamento non è una novità, è un espediente tipico di Beethoven.
Scelto il materiale di base, si può costruire con le aperture e i limiti che la mente musicale detta all’improvvisatore.

L’aspetto fondamentale è concentrarsi sulle conseguenze dello stimolo iniziale collocandosi il più possibile in “campo aperto”, inventando cioè formule proprie così come si farebbe componendo a tavolino ma alla velocità del tempo musicale. Se questo conduce verso territori inauditi, il processo di composizione è stato realizzato nel modo ideale.
Non ci si appoggia a stili precostituiti: la consuetudine di perseguire delle utopie, propria della musica contemporanea, è una conquista troppo importante perché la mia immaginazione musicale operi diversamente e si appoggi placidamente a un genere qualsiasi. Tuttavia, come già detto, è impossibile suonare senza alcun riferimento, perché ci sono formule interiorizzate dovute agli ascolti, alla cultura e alle preferenze personali. Può capitare anzi che in alcune improvvisazioni si oscilli fra vari mondi stilistici.

Nelle improvvisazioni in cui meno mi appoggio a stili precostituiti, ho bisogno di creare nella durata del brano un contesto musicale; per questo motivo ricorro spesso alla ripetizione degli elementi presenti. Attraverso la ripetizione si possono seguire meglio le variazioni del materiale iniziale e si riesce a “passare” all’ascoltatore anche un brano interamente atonale o con armonie complesse o “difficile”. In altri termini: la ripetizione è un mezzo per focalizzare l’attenzione che fornisce all’ascoltatore un corrimano per attraversare territori inauditi.

Un altro atteggiamento tipico è lavorare ai limiti di alcune categorie musicali, anche questo è un debito che ho con la musica contemporanea. Per esempio, ciò che sembra un accordo inserito in un contesto tonale di ballad è trattato nello sviluppo come una sovrapposizione di intervalli; in tal caso il contesto suggerito è disatteso pur essendo presente come riferimento o come colore.
Altre volte un accordo ripetuto sempre uguale nasconde minimi movimenti melodici al suo interno, creando un’ambiguità fra strutture verticali e orizzontali, e ci si trova al limitare di una situazione armonica e melodica.

L’atteggiamento globale è costruttivo: si compone col materiale che si annuncia all’inizio e l’assunto inalienabile è che il processo di composizione si realizza davanti agli ascoltatori durante il brano. Quest’approccio condiziona completamente lo scorrere del tempo perché in qualche modo è il progresso della creazione che viene offerto al pubblico. Ciò condiziona evidentemente anche la forma finale del brano.
A volte alcuni procedimenti o formule si costruiscono gradualmente finché prendono una fisionomia definita in ogni dettaglio; a quel punto alcune formule possono esser ripetute, alternate e montate. Altre volte non c’è una fisionomia che si cristallizza in modo definitivo ma un perenne sviluppo del materiale che passa attraverso diversi stati di aggregazione. Non ci sono vincoli di tempo musicale, l’improvvisatore-compositore può creare il tempo musicale adatto a un’idea e perseguirlo durante il percorso di creazione.

Questo atteggiamento implica dei rischi enormi perché lo stimolo musicale non viene composto in precedenza. Si tratta di un rischio duplice, primo perché nel momento in cui ci si mette davanti allo strumento e al pubblico si può andare incontro a un vuoto di stimoli o vengono in mente stimoli poco interessanti, secondo perché senza la “rete di protezione” di stimoli pre-composti si rischia di ricadere dentro le proprie formule consolidate.
Tuttavia, proprio in questo rischio risiede il “sale” della tensione che si crea nel momento della creazione: è prendendosi tale rischio che si scoprono nuovi territori e s’inventano nuove soluzioni, proprio come nella composizione. Laddove si raggiunge un equilibrio efficace fra rischio, idea e invenzione si accede a una grande freschezza musicale perché si assiste, insieme agli ascoltatori, alla creazione di una nuova forma.
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