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Martedì 16 Febbraio 2010
Bob Margolin @ Raindogs House
DATA: Giovedì 11 Febbraio 2010

Bob Margolin: una chitarra per Muddy Waters

E’ormai difficile che mi faccia trascinare fuori di casa, soprattutto in settimana. La pigrizia, il lavoro, l’inverno: sono mille i motivi che ti vengono dati per rintanarti e rimandare a tempi migliori. Poi ti chiama un amico, un appassionato di musica che come te ha ormai qualche anni di troppo ma che, differentemente da te, tiene le orecchie ancora aperte e ti dice: “Ehi? C’è Bob Margolin al Raindogs; vieni?”. Chi è Bob Margolin? Se lo si va a cercare nelle charts di Last.fm o su Internet si trova un baffuto chitarrista, prossimo alla terza età che ricorda un figlio dei fiori ormai avanti negli anni, poi si scopre che è stato nella banda “bianca” di Muddy Waters negli anni ’70. Ma Muddy Waters... non era uno che suonava negli anni ’50?
Insomma le premesse per chi non conoscesse la storia del Blues sono che Bob Margolin è un nome come tanti che, più o meno a meritato titolo, possono dire di aver incontrato il Blues sulla propria strada. Eppure dopo aver ascoltato Margolin certe classificazioni non sono così scontate.

Raindogs (Sv) 11 Febbraio; ore 22.00, interno club . Il locale non è ancora pienissimo; alcune persone si domandano se si riempirà. E’ la prima volta che vengono al Raindogs e l’atmosfera di fermata dell’autobus non convince questi astanti venuti da Genova per lui: Bob Maroglin, appunto. Ma Marco Zibba il “boss” del piccolo club è tranquillo. lui sa che sarà una grande serata. Ha già ospitato Margolin nel 2008 ed è stato un trionfo!
Bob sta in un angolino dalla parte opposta del locale rispetto al palco Con la giacca di lana e i capelli corti e bianchissimi; sembra un professore universitario al pub sotto casa, Nulla fa trapelare il valore dell’artista che si sta per esibire. Arriva il momento dello spettacolo. Sale sul palco la band. Parte uno strumentale incalzante: Texas Blues style. Il chitarista ha imparato bene la lezione di Stevie Ray Vaughan e la mette subito in pratica. Basso e batteria seguono a ruota onesti e fankeggianti. Dopo il secondo brano arriva l’annuncio: “Signore e Signori: Bob Margolin!”. Bob sorride, sale sul palco ringrazia per l’applauso, prende in mano un Les Paul, lo bacia. Poi prende il bottleneck e... magia... arriva il Blues! Seguono due ore e mezza di quello di cui si sente parlare ma che solo ascoltando in prima persona si capisce veramente. Margolin non è un funambolo della chitarra; non cerca colpi di scena plateali; non è un virtuoso. Eppure arriva qualcosa che si auto-inietta sottopelle e lascia tutti euforici. Margolin non dimentica la lezione del suo maestro e lo cita continuamente con una filologicità spaventosa. Lui non suona Muddy Waters lui è, almeno per questa sera, Muddy Waters. La voce, cavernosa ma pronta a salire su su per agganciare fino all’ultima nota del acuto straziato, sembra quella del maestro, mentre la chitarra è proprio quella che si sente sui suoi dischi. Il gruppo, che nel novero delle band italiane farebbe la sua dignitosa figura, sparisce dietro al suono, ora leggerissimo, ora enorme, della chitarra di Margolin. Non c’è termine di paragone. Bob suona in dispregio a tutte le lezioni su come si suona il Blues sui manuali eppure suona come pochi sarebbero capaci. Dopo due ore ininterrotte si siede sul suo amplificatore Fender e il palco resta solo per lui. La band si allontana e lui si concede da solo per i bis: Can’t Be Satified sembra una preghiera laica al suo ispiratore. Il pubblico applaude, è entusiasta. Marglion ringrazia. E’ quasi commosso, confessa che non sempre il pubblico lo capisce, come è successo qualche sera prima a Milano. E lui per sdebitarsi richiama la band sul palco per un finale che ha ancora molto da regalare, Si improvvisano tutti i brani che vengono in testa Margolini sconfinando nel rock and roll e nel boogie. La band segue docile. Viene chiamato Zibba sul palco ma il godimento di lui, ascoltatore, è troppo grande e rimette l’invito. E’ ormai l’una di notte passata ed è tempo di chiudere. Il freddo pungente aspetta gli spettatori all’uscita ma certamente il cuore resta caldo. Qualcuno quella notte non ha dormito e non solo per le orecchie che fischiavano.




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